Fame d’aria (Daniele Mencarelli)
Quando non c’erano le parole socialmente educate, i vecchi dicevano “avere un figlio disgraziato” per dire che c’era qualche disabilità, qualsiasi disabilità e davvero poco importava quale fosse la diagnosi medica, la sindrome esatta. In quella parola c’era appunto la disgrazia, la sofferenza, la fatica, la disperazione e il dolore. In questo libro Mencarelli racconta di un padre alle prese con un figlio “autistico a basso funzionamento, anzi bassissimo” e lo fa senza tanti giri di parole, senza edulcorare i giorni, senza nascondere che quest’uomo non ce la fa più, è sfinito, consumato da una malattia contro la quale non ha senso lottare. Padre e figlio si trovano in viaggio, per un guasto alla macchina si trovano costretti a passare qualche giorno in Molise, in un paesetto sperduto dove la gente ancora vive di cose semplici, dove gli abitanti sono così pochi che non hanno perso l’abitudine di guardarsi negli occhi. E qui qualcuno si accorge della sofferenza dell’uomo, del suo vivere ai margini della povertà e della sua esasperazione. La storia ruota attorno a queste tre giornate, che scorrono veloci come le pagine del libro, poche davvero, ma quello che aveva da dire Mencarelli lo ha detto fuori dai denti, diretto, come gli è permesso fare. Ho avuto il piacere di incontrare l’autore due settimane fa alla libreria Moderna, straordinario interprete del nostro tempo, persona schiva e poco interessata alle tendenze, alle mode, al politically correct. Un poeta, spero rimanga così. Ah il libro è “Fame d’aria” e se vi incuriosisce, leggetelo merita.
Irene Pavan 27.02.2023
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