Sussurri

Categoria PREMI LETTERARI

SUSSURRI

La mia voce sussurra piano.

Ho una certa età, te lo concedo, ma non dirmi che non ho tempo, perché questo non sarebbe vero. Anch’io un giorno ho visto la luce per la prima volta, è stato molto tempo fa e non ricordo esattamente come sia successo, ma forse qualcuno lo può fare?

Come tutte le cose di questo mondo, anch’io un giorno avrò una fine, e non so se  sarà il destino o quelli come te a fermare lo scorrere della mia vita.

Ultimante propendo per questa seconda ipotesi, perché quelli che mi hanno imbrigliato, deviato, mutilato, un giorno penseranno che non servo più e allora mi getteranno sotto terra. Quando sarò lì sotto, lontano dalla luce e dalla vita che mi circondano continuerò a trascorrere i miei giorni, ma la mia anima sepolta viva, morirà.

Allora forse qualcuno si ricorderà di me, di quella madre generosa che abbracciava le sue creature, che le cullava, che le nutriva. Forse anche gli uomini come te mi ricorderanno nei loro pensieri e magari l’immagine di me tornerà dolce nelle loro memorie di bambini o di adulti.

Eppure sai, io vi ricordo tutti perché vi osservo da sempre, è questo il bello nell’avere tanto tempo. Amo seguire la vostra frenesia, la vostra corsa verso qualcosa di indefinito, il vostro spingervi a piedi, in bicicletta, in barca o con qualsiasi altro mezzo verso mete effimere. Mi piace anche osservare i vostri amori lungo le mie sponde: amori giovani, altri clandestini, amori sbagliati o malati.

Osservo il vostro continuo costruire, demolire, fare e rifare come se questo mondo non fosse mai abbastanza giusto per voi.

Piccole illuse creature, se aveste visto ciò che ho potuto vedere io, forse oggi non commettereste gli stessi errori. Quanti ricordi dentro alle mie acque.

Ho visto crescere paesi interi, baracche diventare case grandi piene di voci; strade battute dagli zoccoli trasformasi in grandi opere d’ingegneria;  ho sentito le campane sul far della sera, prima una, poi tante e tante ancora. Ho sentito il silenzio meraviglioso della natura trasformarsi in brusio continuo, i suoni divenire rumori  di motori, di macchine e di fabbriche. Ho visto donne lavare i panni nelle mie acque, ho ascoltato le loro confidenze e le loro canzoni, mi sono goduta le risa dei bambini e i tuffi dei ragazzini. Ho atteso paziente insieme ai pescatori pomeridiani, ho accarezzato pensieri tristi, raccolto sogni infranti.

Ho amato, ho amato molto tutto questo.

Purtroppo non c’è stato solo questo.

Sarebbe facile parlarti di quei giorni in cui ho accompagnato centinaia di cadaveri verso un luogo più sicuro, di quando sembrava non fosse rimasta più vita lungo le mie sponde. Potrei parlati delle bombe che cadevano su una terra già devastata o della violenza folle e disperata di chi non aveva più nulla da perdere; della paura di chi era rimasto. Del sangue del nemico che si mescolava con quello dell’amico, del dolore, delle grida, delle preghiere. Sì, potrei parlarti di tutto questo.

Eppure un altro episodio ha segnato più di altri questo mio scorrere lento.

La morte di un bambino. Sicuramente penserai che ne ho viste molte di questi morti, hai ragione. Una è stata ahimé  diversa. Per il resto della mia vita sarò costretta a portarmi addosso gli occhi di quel bambino. Il suo orrore stupito, la sua impossibilità di muoversi o urlare. La sua vita che lascia il corpo sotto il peso di una violenza troppo grande. Avrei dovuto ribellarmi, avrei dovuto strapparlo al suo aguzzino e portarlo lontano, magari adagiandolo poco più avanti. Invece sono rimasta così, impotente e attonita e ho lasciato che la peggiore violenza accadesse davanti alle mie acque.

Quel grido strozzato mi perseguita tutte le notti, quando il rumore della città diventa solo un brusio e l’angoscia dei disperati si nasconde tra le mie rive.

Ti chiederai perché ti sto raccontando tutto questo. Abbassi gli occhi e fai un passo indietro. Ti racconto tutto questo perché quel pomeriggio tu eri lì.

Ti ho visto, ti ho riconosciuto. Ti ho visto scappare  con le mani insanguinate, con il cuore che ti batteva forte, il respiro corto. Sei diventato ombra tra gli alberi, fruscio tra i rami, odore lontano. Ti hanno cercato a lungo, ma tu sei stato più bravo, non c’è che dire.

Io so chi sei, mi ricordo di te. Attendo paziente ogni giorno la sua passeggiata claudicante e la tua pesca solitaria. Attendo un tuo passo falso per prenderti e portarti giù nella melma degli orrori dimenticati e sedimentati.

Ecco, sappi che io non avrò pace finché questo non accadrà.

Forse qualcuno verrà a cercarti. Pochi, credo, piangeranno il tuo nome e si chiederanno silenziosamente se saranno stati i tuoi incubi a farti scivolare dalla riva sicura, in una giornata di primavera, senza vento.

Oggi invece soffia un’aria fastidiosa e a questa confido i miei sussurri affinché si insinuino tra i rami e tra i rovi, facendo vibrare le canne e le foglie, perseguitandoti senza sosta.

Io so chi sei, mi ricordo di te.

[Autore: Irene Pavan, anno: 20xx, Editore LAPIAVE ]

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