Categoria PREMI LETTERARI
ONDE NUOVE
Scendo dal taxi davanti alla Madonnina, l’autista riparte veloce facendomi quasi barcollare.
Eccomi qui. Sistemo meglio la borsa sulla spalla, il suo peso lacera la stoffa sottile della camicetta, mi appoggio al trolley per trovare la forza di fare qualche passo. Cerco con lo sguardo il mare, come se quel lento movimento potesse aiutarmi a mettere un piede davanti all’altro, a spostarmi da questo specchio di asfalto per raggiungere la camminata bianca. Sento sulla pelle i raggi tiepidi di questo aprile, il vento che sa di sale mi accarezza e già mi arriva quel profumo allegro di fritto e pescato.
Eccomi qui. Con la mia pelle secca, flaccida sotto i vestiti buoni, con il rossetto messo in taxi, il foulard sgualcito da zitella attempata e questi pantaloni comodi ma anonimi a nascondere forme appesantite dalla fatica di vivere. Arrivo sul lungomare portandomi dietro il trolley consunto come fosse un cane obbediente e mi siedo sul muretto, con le gambe penzolanti affacciate sugli scogli.
Mi lascio investire dal rumore delle onde, dal frastuono dei ricordi che mi vengono addosso violenti, vivi nonostante il tanto tempo passato. Mi lascio colpire come se accettare la punizione servisse ad alleggerire il mio turbamento, a superare il muro di infinita solitudine che mi si è chiuso intorno.
Eccomi qui. Dopo quarant’anni, dopo migliaia di giorni trascorsi a riempire di vita ore inutili, pagine bianche mai scritte per non sporcare il candore di quei momenti che ho lasciato in questo posto. Perché si ritorna? Perché dopo aver percorso migliaia di chilometri torniamo dove siamo partiti, anguille gravide di speranze che sfuggono acque troppo fredde? Questa spiaggia è il mio porto di partenza perché sono nata qui, in una notte di luna bianca e calda di un agosto troppo umido. In questa spiaggia la mia infanzia ha mosso i primi passi incerti e barcollanti, ha costruito castelli abitati da principesse e fate di sabbia che le onde di quella stupida adolescenza hanno portato via. Sarei rimasta qui per sempre, attaccata ai colori vivi di casette storte, impigliata nelle reti che mio padre metteva ad asciugare la sera, godendomi quest’aria di mare, innamorandomi sugli sdrai chiusi nelle notti d’estate. Invece. Invece un giorno arrivò l’amore che come un’onda mi travolse, mi portò via lontano e la mia vita si attorcigliò attorno a quella persona, cancellando tutto quello che era venuto prima, proiettandomi verso un futuro che vedevo solo attraverso i suoi occhi. […]
Non so quando tutto questo ebbe inizio, forse quando capimmo che l’altro era così solo che mai avrebbe potuto chiedere aiuto, che non avrebbe mai rotto il patto di sangue per una strana forma di vergogna e di sincera autoaccusa. Viviamo in città affollate, ma in mezzo a tutto siamo orfani e diversi, specialmente in quella Svizzera ricca ed elegante che ti guardava dall’alto. Noi vivevamo nel basso dei pavimenti condominiali da pulire, nelle latrine pubbliche da disinfettare contro odori umani che nel bel mondo vanno cancellati da persone che lavorano tirando secchi di candeggina. Quelle secchiate non erano nei miei sogni di bambina, anche se le ho accettate, sperando fossero solo un prezzo provvisorio da pagare, così come quegli sguardi che voltavano gli occhi dall’altra parte lungo strade di persone normali che non si incrociavano mai con le nostre. Poche le telefonate a casa, vaghi i discorsi all’inizio e poi la consapevolezza che vite lontane finiscono per ignorarsi anche tra parenti.
[…] Eccomi qui. Ora che tutto è finito, una lapide di bassa fattura ha spezzato il nostro amore malato facendo tacere le nostre grida rabbiose, i pianti solitari e quell’odio subdolo che ci avvelenava. Ho versato ancora lacrime quando ho lasciato l’ospedale quella sera, ho passato giorni e giorni in silenzio, sono rimasta incredula nel sentire la sua mancanza in cucina, nel tremare riponendo quei pochi vestiti che non sarebbero più stati usati. Poi non so come, ho iniziato a mettere via anche i miei vestiti e così ho iniziato a riempire questo vecchio trolley. Guardo la mia vita raccolta in quelle poche cose che stanno comodamente in un piccolo bagaglio, solo due ruote bastano per portar via quei quarant’anni.
Arrivata alla stazione non ho avuto in realtà scelta, mi sono semplicemente messa sugli stessi binari che mi avevano portato lì anni prima, si trattava di ripercorrerli a ritroso, ma con le spalle ingobbite di chi ha portato pesi troppo grandi. Penso di aver dormito per tutto il viaggio, non volevo vedere cosa lasciavo o dove andavo, tutto era dentro di me, compresso e ordinato come i vestiti nella valigia. Avrei dovuto avvisare della mia partenza, avrei dovuto accertarmi che ci fosse qualcuno disposto ad accogliermi all’ultima fermata, forse a stringermi la mano, a dividere almeno all’inizio le mie pene. Invece sono partita all’improvviso, senza pensare, senza dare al tempo il tempo di fermarmi, di farmi riflettere e magari desistere. Se avessi fatto quella telefonata forse non sarei più partita, lo so.
Ora che sono qui, dovrei trovare la forza di scendere da questo muretto e andare a bussare a quella porta, forse le scuse non serviranno, forse basterà guardarci negli occhi per non fare domande. Forse ritroverò nello sguardo vecchio e stanco di mio padre un po’ di compassione, una mano consunta disposta a stringere la mia, a far finta che sia ancora quella della bambina partita tanto tempo fa. Chissà se avrà già riposto le reti lungo la terrazza del porto, se avrà già acceso la tv in cucina, se ritroverò l’odore di mare nel suo abbraccio, il profumo buono di un’infanzia felice dentro quelle due stanze che ora mi paiono il posto più sicuro al mondo. Chissà se tra quelle semplici mura il sole sorgerà domani ed il giorno seguente ancora, a illuminare un futuro nuovo ancora da scrivere.
Intanto rimango a guardare il mare e niente mi sembra più bello di questa luce che si riflette tra gli spuzzi, niente mi sembra avere più senso di questo perpetuo movimento d’anima. Chiudo gli occhi piangendo, avevo bisogno di queste onde eterne per ritrovare un senso al mio respirare.
[Autore: Irene Pavan, anno: 2018 ]
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